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CRONACA

Napoli: Camorra, 12 arresti e sequestri per 700 milioni di euro

12 Luglio 2017 14:31 — Operazione della Guardia di Finanza Nucleo di Polizia Tributaria G.I.C.O. di Napoli, Nucleo di Polizia Tributaria G.I.C.O. di Bologna, S.C.I.C.O. di Roma, Gruppo Pronto Impiego di Napoli, Gruppo di Giugliano in Campania.

In data odierna la Guardia di Finanza  (Nucleo di Polizia Tributaria G.I.C.O. di Napoli, Nucleo di Polizia  Tributaria  G.I.C.O.  di  Bologna,  S.C.I.C.O.  di  Roma,  Gruppo Pronto  Impiego  di  Napoli, Gruppo  di Giugliano  in  Campania)  ha  dato  esecuzione ad una  misura cautelare personale e reale emessa  dal  GIP  del Tribunale di Napoli,  su richiesta  della  ODA di Napoli,  con la  quale sono  stati disposti la custodia cautelare in carcere per 12 persone, gli arresti domiciliari per 4 persone ed  il sequestro preventivo di  1.177   {millecentosettantasette)  immobili, 211 veicoli,  59 società,  400  rapporti bancari,  per un valore nominale complessivo di circa 700  milioni di euro. L'iniziativa  giudiziaria  riguarda  l'operatività  di  un  gruppo   criminale  legato  a  diversi  clan camorristici  (clan  MALLARDO,  clan  DI LAURO  e clan  DEGLI  SCISSIONISTI,  clan  PUCA, clan AVERSANO, clan VERDE, clan PERFETTO), operante in diverse Regioni italiane - quali  Emilia Romagna, Lazio, Abruzzo,  Umbria, Sardegna, Lombardia -, con base  prevalente e genetica in Campania  ed   attivo  in  diversi  settori  illeciti, primi fra tutti quello degli investimenti immobiliari e quello delle truffe alle assicurazioni. L'attività oggi eseguita rappresenta lo sviluppo  di indagini svolte negli anni  precedenti e che avevano   portato al sequestro di un'imponente lottizzazione abusiva a Melito  (il cosiddetto PARCO PRIMAVERA) ed al sequestro di ingenti provviste economiche. Infatti,  durante controlli antiabusivismo edilizio,  la Guardia di Finanza di Giugliano in Campania appurava che il complesso edilizio denominato "PARCO PRIMAVERA"  di Melito era stato edificato in maniera abusiva e che gli organi deputati ai controlli edilizi ed al rilascio dei permessi a costruire avevano chiaramente concorso a tale edificazione abusiva. Si accertava, inoltre,  che  gli  imprenditori  che  avevano realizzato il suddetto complesso abusivo avevano sicuri legami con la criminalità organizzata locale dato che uno dei soci delle società che avevano edificato il Parco Primavera era CICALA Alfredo, già Sindaco del Comune di Melito e già condannato per partecipazione all'associazione camorristica denominata clan DI LAURO. Veniva disposto il sequestro preventivo del PARCO PRIMAVERA  (attualmente per tali vicende è  in corso il dibattimento)  e venivano  effettuate perquisizioni ed  acquisite informazioni di carattere finanziario e bancario nei confronti degli imprenditori coinvolti nella speculazione edilizia (tra cui PASSARELLI Antonio, CHIANESE Carmine e CHIANESE Gennaro), dalle quali emergeva che  ciascuno  di essi era in  possesso di enormi disponibilità bancarie e finanziarie del tutto incompatibili con i redditi rispettivamente dichiarati. Veniva quindi sviluppato un secondo filone investigativo - culminato con l'operazione odierna e curato dal  GICO  della Guardia di Finanza di Bologna poiché emergeva che gli imprenditori avevano consistenti  interessi in Emilia Romagna, in cui venivano effettuati ulteriori accertamenti bancari e patrimoniali ed attivate intercettazioni a carico dei soggetti coinvolti nella speculazione immobiliare. Questi  approfondimenti  investigativi  consentivano  di  disvelare un vero e proprio vaso di Pandora criminale. Infatti, le verifiche bancarie permettevano di ricostruire un vero  e proprio impero  patrimoniale  che gli indagati gestivano in maniera assolutamente  promiscua: non vi era alcuna distinzione di ruoli, di budget, di bilanci, né di società o di conti correnti, in quanto l'unico scopo  degli  indagati era quello di creare una  formale giustificazione per effettuare il reimpiego sistematico di enormi somme  di denaro di provenienza illecita. Al contempo, dalle indagini tecniche emergeva  che le provviste di denaro erano in realtà provenienti dai vertici di vari clan camorristici operanti nel territorio campano: clan MALLARDO, clan degli SCISSIONISTI, clan PUCA, clan AVERSANO, clan VERDE, clan PERFETTO, clan DI LAURO. Emergeva  inoltre  l'operatività  di  una  vera  e  propria  organizzazione  criminale  attiva  nel settore delle  truffe  alle  assicurazioni e volta alla realizzazione di pratiche di falsi  incidenti automobilistici, finti incendi e finti  allagamenti,  i cui proventi finivano parzialmente  nelle casse  dei clan camorristici e molto frequentemente venivano riciclati in attività societarie e di cui faceva parte anche uno degli imprenditori del Parco Primavera, PASSARELLI Antonio. Si accertava che spesso i  profitti dell'attività truffaldina venivano mascherati da PASSARELLI Antonio  come  Conferimento  Conto  Soci in  compagini  societarie in cui lo stesso formalmente non figurava quale socio: si individuava così uno dei canali illeciti di approvvigionamento delle risorse dell'organizzazione. Per  effettuare  le  operazioni  di  ripulitura  PASSARELLI  Antonio  si  serviva  di  familiari  e  di persone  estremamente   fidate   come   i    suoi  familiari ed i fratelli CHIANESE Carmine e CHIANESE Gennaro, che risultano coinvolti nella operazione odierna  per il reato di riciclaggio aggravato. Dalle  indagini emergeva che gli indagati partecipavano ai diversi aspetti della vita delle organizzazioni camorristiche, anche quelli di tipo più spiccatamente militare. Dalle indagini è emerso altresì che il gruppo  criminale monitorato era formato da soggetti che, pur  essendo   inseriti  stabilmente  in  organizzazioni  camorristiche  differenti,  svolgevano attività illecite nel comune interesse dei diversi clan camorristici, sia nel settore degli investimenti immobiliari, sia in quello dei riciclaggi, sia in quello delle truffe alle assicurazioni. Gli    accertamenti   finanziari   e   bancari   sviluppati   nei   confronti   degli   indagati   ovvero PASSARELLI ANTONIO, CHIANESE CARMINE, CHIANESE GENNARO, MARRONE ANTONIO, MORLANDO ANTIMO,  DI SPIRITO EMANUELE  hanno consentito di dimostrare che i capitali di provenienza illecita o quantomeno  opaca venivano sistematicamente reimpiegati in investimenti immobiliari. Ciò consentiva all'organizzazione di raggiungere due distinti fini: per un verso, il passaggio di mano di somme di denaro e di quote societarie rendeva difficoltosa, se non impossibile, l'individuazione delle originarie provviste poi utilizzate per le differenti operazioni di investimento e, per altro verso, proprio  questi  investimenti  generavano un immenso patrimonio societario ed immobiliare nella disponibilità del medesimo gruppo criminale. In  altri  termini, anche attraverso le indagini bancarie e finanziarie, è stato possibile individuare un altro modo con cui le organizzazioni camorristiche creano le provviste illecite che ne consentono l'affermazione, anche economica, sul territorio. Tale impostazione trovava definitivo riscontro nelle conversazioni degli stessi indagati, captate durante le intercettazioni,  in cui essi  raccontavano esplicitamente come opera il sistema dell'approvvigionamento dei capitali illeciti e del loro conseguente reinvestimento in immobili e quote societarie. Dalle indagini bancarie  emergeva anche  che gli indagati usavano  spostare sistematicamente considerevoli somme  di denaro tra diversi conti correnti per poi convogliarle nelle  società, quasi sempre a titolo di finanziamento conto soci, prassi, quest'ultima, che integra, di per sé, gli estremi del delitto di riciclaggio. Inoltre  gli  approfondimenti  bancari  hanno   consentito  di  scoprire  che,  molto  spesso,   le provviste  utilizzate  per finanziamento  conto soci provenivano da soggetti che non erano soci delle società finanziate. Cò forniva tangibile riscontro alla ricostruzione investigativa del carattere fittizio delle complessive   operazioni,   che  servivano esclusivamente agli indagati per attribuire una parvenza lecita all'approvvigionamento di capitali di provenienza illecita. Venivano poi sentiti diversi collaboratori di giustizia sulla  partecipazione degli  indagati alle organizzazioni camorristiche e sulla realizzazione dei diversi reati fine e le loro dichiarazioni hanno  fornito pieno  riscontro alle indagini già impostate. Il gruppo camorristico si è rivelato attivo anche sotto il profilo militare: diversi episodi attestano  la  diretta  partecipazione  degli   indagati   MORLANDO   Antimo  detto  A  MUCIA, BARBIERI  Salvatore  detto  TOTORE O  NIRO,   PASSARELLI   Antonio,  ESPOSITO  Crescenzo, RUSSO  Francesco, PASSARELLI  Pasquale, MARINO  Cosimo ad attività estorsive o di matrice violenta o in altre attività poste in essere per ottenere l'impunità per i  delitti nel frattempo realizzati. In alcuni episodi  risultano coinvolti i vertici delle organizzazioni camorristiche: è il caso  di  MARINO COSIMO  detto COCO'  - del  clan  degli  SCISSIONISTI  - che,  dopo  aver malmenato  DE  CRISTOFARO  Alberto  fino  a  cagionargli  lesioni  personali  tali  da  renderlo allettato  ed  essersi impossessato  della  sua autovettura,  lo  aveva  costretto  a modificare  la propria versione  dei fatti  dinanzi  all'Autorità  Giudiziaria  in  modo  da scagionarlo.  La rettifica della  denunzia veniva provocata  dall'intervento  di PASSARELLI  Antonio,  di  RICCIO MARIO, detto  MARIANO, capo  del  clan  degli  SCISSIONISTI  che  all'epoca era  uno  dei  latitanti  più ricercati d'Italia, che si attivavano per conto dello stesso MARINO Cosimo. È   il  caso   di  RUSSO FRANCESCO   detto  'O  LENTONE  che  era  stato  autista  del capoclan MALLARDO  Feliciano  quando   questi era in stato di libertà, e che, oltre a effettuare diverse intestazioni fittizie, aveva favorito la latitanza di affiliati del clan MALLARDO - come MORACA MAURO  genero di MALLARDO  FELICIANO  - e partecipava ai summit con altri  esponenti  del clan MALLARDO per la risoluzione di problematiche camorristiche. Le  indagini  hanno  poi  dimostrato  che  il  gruppo  camorristico  investigato  era  riuscito  ad operare   indisturbato  negli   anni   anche  grazie allo stabile e determinante appoggio di insospettabili colletti bianchi: funzionari di banca  e commercialisti il cui apporto si è rivelato cruciale  e  determinante per la vita e l'espansione dell'organizzazione criminale. Si  è accertato  che  alcuni  di  essi  (CASTIGLIONE  ANTIMO e SANGIORGI  DOMENICO)  non  si erano limitati a fornire un ausilio estemporaneo agli indagati, ma  erano stati in costante e sinergico rapporto con il gruppo  camorristico e che da esso avevano  tratto vantaggi personali: tali vantaggi avevano funto da contropartita alle agevolazioni da loro stessi prestate alla vita dell'associazione criminale. Di qui la contestazione di partecipazione al clan PUCA. Il funzionario bancario SANGIORGI  DOMENICO  era perfettamente consapevole  dell'apporto che andava a fornire all'associazione: eclatanti le conversazioni intercettate in cui il bancario, dapprima, avvisava PASSARELLI Antonio degli  accertamenti  disposti dalla magistratura a carico del suo sodale  CICCARELLI Francesco e, successivamente, lo ragguagliava anche sulle ulteriori richieste inoltrate alla  banca  sul  conto dello  stesso PASSARELLI,  e ciò proprio per consentirgli di prendere provvedimenti e adottare le contromisure per non finire nelle maglie delle indagini. Il  commercialista  CASTIGLIONE Antimo organizzava con gli indagati i passaggi societari e preordinava tutti gli éscamotages per eludere le investigazioni e gestiva, anche  direttamente, i patrimoni degli indagati, tra cui anche  quello del capoclan  PUCA Pasquale "O MINORENNE". Il dato investigativo più significativo è certamente quello  quantitativo, essendo emerso che il gruppo criminale monitorato aveva la disponibilità di un patrimonio illecito  che, ad  aprile del    2015,  ammontava a 1.177 (millecentosettantasette) immobili,  62 società commerciali, 211 veicoli  per un controvalore di circa 700 milioni  di euro. Tale quantificazione comprende il patrimonio dei soli indagati e dei rispettivi nuclei  familiari, ovvero  esclusivamente dei soggetti per i  quali  sono  state condotte approfondite ricostruzioni bancarie  e  patrimoniali;  nel  computo  suindicato  non  rientrano i soggetti  prestanome  (in quanto per essi non sono stati acquisiti elementi tali da rendere certa l'esistenza della consapevolezza del carattere fittizio delle attività di intestazione) nonché  tutti coloro  che, pur essendo  coinvolti  a  vario  titolo  nelle  intestazioni  di  beni  o  società,  non  sono  risultati  in sproporzione reddituale con i patrimoni posseduti. Contestualmente all'esecuzione del provvedimento cautelare (personale e reale) sono  state eseguite numerose perquisizioni.

12 Luglio 2017 14:31 - Ultimo aggiornamento: 12 Luglio 2017 14:31
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