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CRONACA

"Quanto condividi"?, la ricerca che svela la percezione dei reati in Rete

08 Giugno 2017 17:59 — Nello studio, alcuni casi reali di cyberbullismo, adescamento in rete e sexting sono stati trasformati in un questionario sottoposto a 2.000 nativi digitali di età compresa tra i 13 e i 17 anni.

Con “Quanto condividi?” i pensieri, le emozioni e le convinzioni dei ragazzi sui comportamenti illegali in rete, hanno fatto parte di uno studio presentato questa mattina a Roma alla presenza del capo della Polizia Franco Gabrielli. La ricerca scientifica è stata realizzata dall’Università Sapienza di Roma e dalla Polizia postale e delle comunicazioni con la collaborazione del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità. Il tema della conoscenza mai come in questo settore è fondamentale perché troppo spesso si fa fatica a percepire il virtuale che è invece molto reale - ha detto il capo della Polizia Franco Gabrielli - per questo abbiamo due imperativi categorici fare cultura rendendo le persone consapevoli dei rischi e fare rete attraverso le sinergie tra tutti i soggetti coinvolti avendo chiaro che il bene più prezioso è la crescita delle nuove generazioni. Durante il convegno è stato inoltre presentato anche un filmato relativo alla testimonianza di una ragazza vittima di sexting. Nello studio, alcuni casi reali di cyberbullismo, adescamento in rete e sexting sono stati trasformati in un questionario sottoposto a 2.000 nativi digitali di età compresa tra i 13 e i 17 anni; nelle risposte i ragazzi hanno espresso in forma anonima quali comportamenti considerano gravi, quali colpe attribuiscono alle vittime, quali adulti vorrebbero coinvolgere qualora fossero protagonisti di storie simili, e in ultimo quanto sanno comprendere effettivamente le conseguenze che alcune semplici azioni virtuali producono nella realtà. Dalla ricerca emerge che il web nell’immaginario dei ragazzi sembra ancora assomigliare ad una terra di nessuno dove quelle azioni semplici non sono percepite come reati e sono considerate reversibili legali e in grado di generare solo piccoli dolori alle vittime; parole pesanti, indiscrezioni diffamatorie, aggressioni verbali in rete sembrano essere senza conseguenze per loro. Solo nel 36 per cento dei casi i ragazzi delle scuole superiori dimostrano di comprendere correttamente che i video o le immagini postate abbiano un pubblico potenzialmente globale ed eterno quando vengono immesse in rete. Se si è vittima di reati on-line, i genitori per 7 ragazzi su 10 sono i primi a cui chiedere aiuto, soprattutto per i più giovani, mentre tra i più grandi ben 6 ragazzi su 10 cercano conforto nei coetanei e per 5 ragazzi su 10, indipendentemente dall’età, la scelta sarebbe delle forze dell’ordine. Emerge una forte tendenza dei ragazzi a colpevolizzare la vittima, la ritengono responsabile in prima persona del danno che subisce quando, diffondendo immagini personali, accetta implicitamente il rischio che siano viralizzate in rete. La vendetta per uno smacco virtuale è ammessa e non c’è molta comprensione per la sofferenza di chi viene umiliato, diffamato, deriso in rete. La pluriennale esperienza di contatto diretto della Polizia postale e delle comunicazioni con vittime e autori di reati on-line, con le loro famiglie, con educatori e operatori della tutela dei minori, con l’aggiunta dei risultati della ricerca, hanno orientato la definizione dei contenuti del toolkit per la formazione Safe Web. Si tratta di uno strumento pratico pensato per insegnanti e adulti e vicini ai linguaggi dei giovani per informarli sui rischi di incorrere in reati, sull’uso consapevole della Rete e sui fenomeni criminali che si alimentano grazie al web, dando vita ad emergenze sociali in cui i minori sono sia vittime che autori di reato.

08 Giugno 2017 17:59 - Ultimo aggiornamento: 08 Giugno 2017 17:59
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