13 Novembre 2025 - Aggiornato alle 05:42
CULTURA&SPETTACOLO

Napoli: "Incontro con Marcello Cardillo una celebrità del Jazz tutta napoletana" di Giovanni Spinazzola

05 Novembre 2025 17:27 —

Napoli, Amsterdam e New York. Tre città che come un fil rouge sono collegate nella vita di Marcello Cardillo, ormai una celebrità nel mondo del jazz. Napoli la culla che l’ha allevato ha contaminato un talento foraggiato dalla passione paterna verso la musica. La città partenopea e l’Italia erano (e sono) troppo strette per lui che a 18 anni è volato nell’Europa del Nord per la sua formazione. Amsterdam come tappa intermedia, New York – megalopoli cosmopolita e meta di talenti – come punto di arrivo (almeno per ora). Marcello Cardillo è senza dubbio uno degli esponenti italiani più interessanti del panorama del jazz, un orgoglio tutto italiano che si sta affermando sempre più. La redazione de “I Fatti di Napoli” l’ha intervistato per parlare con lui dei progetti attuali e futuri.

Il tuo ultimo disco risale a maggio: ci racconti a cosa ti sei ispirato per realizzarlo?

Sì, il mio ultimo lavoro discografico si chiama Portrait of a Moment ed è uscito il 30 maggio 2025 con la storica etichetta Red Records. Il disco nasce dalla collaborazione con il pianista Tommaso Perazzo, mio amico di lunga data, con il quale suono sin da quando ci siamo conosciuti nel 2015 durante il nostro percorso di studi al Conservatorio di Amsterdam, poi proseguito alla Manhattan School of Music di New York. La formazione è un piano trio, con la partecipazione straordinaria dell’iconico contrabbassista Buster Williams, uno dei più importanti della storia del jazz, che vanta collaborazioni con artisti come Miles Davis, Sarah Vaughan, Count Basie, Sonny Rollins, Chick Corea, Herbie Hancock, Art Blakey e molti altri. Attraverso composizioni originali di ciascun membro del trio, fatta eccezione per due brani, l’album — come suggerisce il titolo, “ritratto di un momento” — rende omaggio alla spontaneità e all’irripetibilità di ogni istante, tanto nella musica quanto nella vita.

Portrait of a Moment è stato realizzato insieme a un’icona del jazz come Buster Williams: come è nata questa collaborazione?

La collaborazione con Buster è nata durante i miei studi alla Manhattan School of Music, dove lui insegna. Il primo contatto è avvenuto quando ho iniziato ad accompagnare i bassisti alle sue lezioni; poi, durante il secondo anno, sono entrato nella sua classe di musica d’insieme. Da lì il nostro rapporto si è rafforzato, passando gradualmente da un contesto accademico a uno professionale. Sia io che Tommaso ci siamo laureati con il Master nel 2022, e nell’anno successivo siamo rimasti in contatto con Buster. Io ho avuto la fortuna di avere un amico che lavora in uno studio di registrazione a New York e che due anni prima, in aggiunta al pagamento per una sessione di registrazione che feci per lui, mi concesse un giorno di registrazione gratis. E così nel 2023 proposi a Tommaso l’idea di chiedere a Buster di registrare un disco con noi. Buster si dimostrò super entusiasta e disponibile, e così il 14 giugno di quell’anno registrammo “Portrait of a Moment”. Quella è stata in effetti la prima volta in cui abbiamo suonato insieme e l’inizio di altre collaborazioni future.

Ci puoi raccontare com'è stato per te lavorare con un'icona come lui e quale fonte di ispirazione è stata per te?

Ho imparato tantissimo da lui, non saprei neanche da dove iniziare. Se dovessi riassumere in poche parole l’insegnamento più importante che mi ha trasmesso, direi forse quello di vivere (e suonare) senza paure - “to be fearless”. Buster, che ora ha 83 anni, oltre ad essere una leggenda del jazz, è anche una persona profondamente spirituale essendo un devoto praticante buddista dal 1972. Molte delle lezioni più preziose che mi ha trasmesso non le ho imparate con le parole, ma osservandolo. E quando decide di condividere un pensiero o un aneddoto, riesce sempre a tirar fuori una perla di saggezza. Io lo ascolto religiosamente e prendo nota, consapevole che molte cose le comprenderò davvero solo col tempo.

Ti sei unito alla band “Something More” di Buster per prendere parte al Guimarães Jazz Festival: che esperienza è stata?

Si, poco dopo avergli chiesto di registrare il disco, ma ancora prima di andare in studio, Buster ci propose, sia a me che a Tommaso, di suonare al Guimaraes Jazz Festival in Portogallo nel novembre 2023, nella sua band “Something More” con Steve Wilson al sassofono. Il batterista originale della band è il celebre Lenny White, icona del jazz e pioniere di quello che oggi viene chiamato “fusion”. Quindi puoi immaginare quale onore sia stato per me riceve quella proposta. Quella è stata forse l’esperienza professionale più importante della mia vita finora. Mi ricordo che ero emozionatissimo. Non ci potevo credere. Continuavo a ripetermi quello che lui ci aveva detto quando eravamo suoi studenti: “c’è sempre una ragione per la quale siete dove siete”. Quindi ho confidato nel fatto che ero lì perché lui ha creduto in me, nel mio potenziale e mi ha voluto dare un’opportunità, e non ci sarei stato se lui non mi avesse ritenuto in grado. E così durante il concerto ho dato tutto me stesso e ho cercato di godermi il momento, il che in effetti è quello che lui stesso ricerca: la gioia nel momento. È stata un’esperienza straordinaria che mi ha insegnato tantissimo sia musicalmente che umanamente.

Hai vissuto e suonato in diversi Paesi europei: a che livello è il jazz in Europa? E quali differenze hai notato rispetto agli Stati Uniti?

Sono nato e cresciuto a Napoli, ho vissuto ad Amsterdam e negli anni la musica mi ha portato a viaggiare in molti altri Paesi d’Europa e non solo. Dare una risposta oggettiva non è semplice, perché l’Europa è un insieme di culture e realtà molto diverse. Ma per la mia esperienza personale, credo che il livello del jazz in Europa sia altissimo. Così come negli Stati Uniti ci sono musicisti straordinari, anche in Europa ce ne sono moltissimi, ognuno con la propria unicità. Non credo tanto alla narrativa secondo cui i musicisti americani sarebbero di default più forti di quelli europei. “L’intelligenza musicale” se vogliamo chiamarla così, non è relegata ad un solo popolo, e di conseguenza neanche la sensibilità per comprendere il linguaggio del jazz, farlo proprio, e apportare il proprio contributo artistico. Detto ciò, il jazz è una musica di origine afroamericana, e nella mia esperienza a New York ho visto qui una concentrazione di musicisti di altissimo livello che credo non esista in nessun altro posto del mondo. Qui si respira l’eredità di anni e anni di storia di questa musica, ancora viva, pulsante e sempre con lo sguardo verso il futuro. Credo in sintesi che la differenza sostanziale non risieda nel “talento” dell’individuo, bensì nell’ambiente circostante.

Sei stato protagonista anche di un tour in Italia con Buster: com’è stato? Il jazz è ancora "di nicchia" nel nostro Paese?

Si, nel luglio 2025 abbiamo fatto un tour con Buster e Tommaso, per promuovere il disco “Portrait of a Moment”. Abbiamo toccato diverse regioni — Liguria, Toscana, Marche, Puglia e Calabria — suonando in alcuni dei principali festival italiani. Condividere palchi, viaggi e momenti speciali con una leggenda come Buster è stato incredibile. Ho imparato tantissimo e sono felice di aver vissuto quell’esperienza insieme al mio amico Tommaso, co-leader del progetto, con il quale tra le altre cose ci siamo divisi l’impegnativo lavoro organizzativo. Quanto al jazz in Italia: credo che, storicamente, il nostro Paese sia sempre stato molto recettivo verso questa musica, e oggi ospita un gran numero di festival, grandi e piccoli. Ci sono molti appassionati, tra i quali musicisti bravissimi. Tuttavia, in larga scala, il jazz tende a rimanere una musica sicuramente più “di nicchia” rispetto al pop, forse anche a causa di una carenza di educazione o esposizione mediatica a questa musica. Spesso gli organizzatori dei festival e dei locali compiono un grande sforzo per catturare la partecipazione del pubblico, soprattutto quando l’artista che si sta promuovendo non è ancora del tutto affermato. Ma credo che quello sforzo sia ben ricompensato quando si ha la sensibilità per comprendere la qualità di un artista. Io sono molto grato a tutti coloro che hanno creduto in me e nei miei progetti. E posso dire che, durante questo tour, il riscontro è stato davvero entusiasta.

Da Napoli ad Amsterdam fino a New York: tre città molto diverse ma tutte con un respiro internazionale. Come hanno influenzato la tua formazione artistica e personale?

Napoli è la mia città, dove sono nato e cresciuto. Mi ha formato e ispirato profondamente, non solo musicalmente ma anche umanamente, e occupa un posto speciale nella mia anima. Essere napoletano indica più un’esperienza di vita che un semplice luogo d’origine: la sua energia, la sua musica, la sua bellezza e le sue contraddizioni hanno tutte contribuito a rendermi ciò che sono oggi. Amsterdam, invece, rappresenta per me un periodo di formazione dal valore inestimabile. È lì che sono cresciuto da ragazzo ad adulto, dai 18 ai 23 anni. Trasferirsi subito dopo il liceo in un Paese così diverso è stato un cambiamento radicale, ma anche un passo fondamentale. Amsterdam mi ha dato l’opportunità di confrontarmi ogni giorno con musicisti talentuosi provenienti da tutto il mondo, in un ambiente educativo molto ben strutturato. Amsterdam è stato il gradino intermedio ideale prima di approdare a New York, una città molto più grande, dispersiva e, se vuoi, anche spietata. New York rappresenta il non plus ultra della scena musicale: è il luogo perfetto per crescere artisticamente e per trovare opportunità di carriera. Allo stesso tempo, però, l’altissima concentrazione di musicisti di altissimo livello e il costo della vita elevato rendono il percorso più lungo e impegnativo, richiedendo intraprendenza e dedizione. Non è una strada facile, ma è estremamente stimolante e, per me, un’esperienza di vita che mi sta dando moltissimo. Qui dicono: “Se riesci a farcela a New York, puoi farcela ovunque.” Sarà vero? Lo scopriremo solo vivendo.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Oltre a continuare a crescere musicalmente e suonare in contesti sempre più stimolanti, vorrei lavorare alla realizzazione di un disco da leader. Negli ultimi anni ho collaborato come batterista in vari progetti — cosa che amo e che voglio continuare a fare — ma vorrei anche dare spazio al lato compositivo e alla mia voce come band leader. Sto già lavorando alla mia musica con una band composta da alcuni dei giovani musicisti più forti di New York, con i quali sono molto contento di suonare. L’idea è di realizzare un album concettuale ma allo stesso tempo coinvolgente dallo stile jazz moderno e magari – ancora non sono sicuro – unire la musica con la poesia, con temi incentrati su vari aspetti dell’essere umano, come filo narrativo dell’album. Sperò di registrare e pubblicare al più presto questo lavoro, e magari organizzare un tour in Europa o altrove con il mio progetto.

Nei tuoi programmi c'è anche un ritorno definitivo in Italia?

Mai dire mai. Per i prossimi anni ho intenzione di restare a New York per continuare a costruire la mia carriera e crescere artisticamente ed umanamente. Spero allo stesso tempo di coltivare e rafforzare i rapporti con musicisti ed organizzatori italiani, e tornare periodicamente per concerti e lezioni.

05 Novembre 2025 17:27 - Ultimo aggiornamento: 05 Novembre 2025 17:27
Commenti (0)


Per commentare questa notizia accedi all'applicazione o registrati se non hai ancora un account
Questo sito utilizza cookie tecnici per offrirti una migliore esperienza di navigazione sul sito.
Navigando su questo sito accetti l'utilizzo dei cookie.

Chiudi