"Non vedo l'intera immagine di questo mosaico per adesso," mi aveva scritto una suora amica qualche giorno prima. "Ma so che ogni persona incontrata è una tessera che Dio ha voluto." Parole che mi rimbalzavano in testa mentre camminavo sotto il sole napoletano di fine giugno, insieme a una trentina di anime pie legate ai Padri Teatini, tutti con l'aria di chi non sa bene dove si è cacciato.
L'iniziativa era dell'Ufficio per la vita consacrata dell'arcidiocesi: far conoscere la vita contemplativa della città. Nobile proposito. Ma Napoli, si sa, è una città che non si lascia conoscere facilmente. Ti brucia la pelle col suo sole, ti stordisce coi suoi rumori, ti conquista con le sue contraddizioni. E quel giorno aveva deciso di metterci alla prova con tutte e tre.
Sei monasteri in ventiquattro chilometri. Forse di più, perché a Napoli le distanze sono sempre un po' elastiche, come tutto il resto.
Nel cuore nascosto della città, dietro un portone che non promette nulla di speciale, si nasconde un angolo di paradiso. Le suore ci accolgono con quegli occhi limpidi che hanno solo le persone che sanno cosa cercano nella vita. "Abbiamo pregato per voi," ci dicono. E ci credi subito, perché certe cose non si fingono.
Padre Carmine Mazza, provinciale dei Teatini e nostro Virgilio in questo singolare pellegrinaggio, celebra la messa. Le voci delle suore si alzano come incenso mentre fuori Napoli si risveglia con i suoi soliti strilli mattutini. Contrasto stridente: loro dentro sussurrano Dio, la città fuori urla la vita.
"Prima pensavo che le monache di clausura fossero un po' egoiste," mi confida Teresa all'uscita, con quella franchezza che ti piace nelle persone semplici. "Invece ho capito che pregano per tutti noi, riempiono quel vuoto che noi lasciamo sempre aperto, presi come siamo dalle nostre faccende."
Salita che spacca le gambe. Il sole napoletano non fa sconti a nessuno, nemmeno ai pellegrini. Ma appena si apre quella porta, tutto cambia. Suor Gigliola, la superiora, ci parla da dietro la grata con una voce che sembra venire da lontano e insieme da vicinissimo.
Il silenzio di queste donne non è vuoto. È pieno, denso come l'incenso delle loro preghiere. Ti accorgi che il vero rumore è quello che facciamo noi fuori, sempre di corsa, sempre arrabbiati per qualcosa.
Chiesa moderna, baciata dal sole. Suor Giuliana, la superiora, ci parla dell'amore crocifisso ma lo fa sorridendo. Perché quello che racconta è una storia d'amore, non un dramma da teatro dell'opera.
Nella sala accanto hanno preparato una tavola da nozze: dolci, frutta, di tutto. Le troviamo schierate nei loro abiti neri, ma con una gioia addosso che fa invidia. Rita, una delle nostre, esce di lì trasformata: "Scherzando avevo detto che si chiamano Passioniste perché hanno molte passioni. Non ci ero andata lontana: ne hanno una sola, ma divorante. L'amore per il Signore."
Monastero antico, atmosfera sospesa nel tempo come certi angoli di Napoli che sembrano dimenticati dal mondo. Suor Antonietta, voce flebile ma sicura, ci racconta il carisma francescano. Povertà, fraternità, preghiera. Dietro la grata, parole leggere come piume. "Il Signore ci conduce," dice. E tu le credi, perché certe certezze non si imparano sui libri.
A due passi da qui i turisti si accalcano nel chiostro maiolicato, fotografano tutto, capiscono poco. Noi entriamo dalle Clarisse. Suor Nunzia, la superiora, e le sue sorelle ci accolgono con una curiosità che fa bene al cuore. Vogliono sapere di noi, delle nostre storie. Aprono orecchie e cuore con quella semplicità che è il lusso dei poveri.
Qui il mosaico della mia amica suora comincia a prendere forma. Ogni tessera al suo posto, anche quelle che sembravano sbagliate.
Chiesa austera, penombra del pomeriggio, un po' di frescura finalmente. Suor Pia non ci parla da dietro una grata, è davanti a noi. Occhi vivaci, intelligenza mai paga. Al polso due braccialetti che forse sono una piccola civetteria in mezzo a tanta austerità. Ma chi può giudicare? Anche le sante hanno avuto le loro debolezze.
"Mai avrei immaginato di poter fare tanta strada a piedi, sotto questo sole, con gente che nemmeno conoscevo," mi racconta Anna mentre affrontiamo l'ultimo pezzo. "Eppure è successo. Come dice Gesù: il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero."
Durante il cammino mi è tornata in mente suor Maria Caterina, la sacramentina dell'inizio: "Il fine della nostra vita è mostrare agli uomini il fine della loro vita: entrare nell'amore del Padre. Sant'Agostino diceva: per correre bisogna conoscere la meta. Noi abbiamo il dovere di mostrarla."
La mia amica suora, quella dell'inizio, aveva scritto ancora: "In Cristo, la vera vicinanza supera le parole. La vita è un mosaico formato da tutte le persone che Dio ci dona. Io sono un mosaico di tutti quelli che ho incontrato. E lo sei anche tu."
Siamo tornati bruciati dal sole, è vero. Ma anche segnati da un altro bagliore, più sottile. Più leggeri. Non più devoti, forse, ma più consapevoli di una verità semplice: Dio sta componendo un mosaico e non possiamo vederlo tutto, ma ci è dato di esserne parte.
Napoli ce l'ha insegnato, con i suoi monasteri, le sue grate, le sue suore luminose. Con il sole che scotta fuori e scalda dentro.