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CULTURA&SPETTACOLO

Napoli: Intervista a Fulvio Iannucci in sala con il suo ultimo film "Vinilici. Perché il vinile ama la musica"

19 Novembre 2018 10:31 — Napoletano, ideatore del Premio Troisi ha girato un docufilm sul Santo Padre e “Caffè Sospeso”. Venerdì 23 al Modernissimo.

Un giramondo dall’esperienza ventennale, partito da Napoli alla conquista del Globo. Autore televisivo, copywriter, esperienze nel campo del doppiaggio e dei cartoni animati, docente universitario ed ideatore del Premio Troisi. Consensi ad ampio raggio, regista di un docufilm sul Santo Padre e di “Caffè Sospeso”. È nelle sale con “Vinilici. Perché il vinile ama la musica” la cui proiezione a Napoli è prevista per venerdì 23 al Modernissimo. Stiamo parlando di Fulvio Iannucci, contattato – in esclusiva – dalla Redazione de “I Fatti di Napoli”. 
Un genio esploso all’improvviso che ha conquistato il Mondo. È errato definire così Fulvio Iannucci?
In realtà mi manca ancora la Jacuzia! Scherzi a parte, non sono un genio e nemmeno esploso all'improvviso. Sono più di trent'anni che lavoro nella comunicazione e quasi venti che giro documentari, prima per la tv e poi per il cinema.
È nei cinema italiani con un film sul vinile. Come è nata l’idea? 
L'idea di fare un film sul vinile è di Nicola Iuppariello, organizzatore, con Vincenzo Russo, di DiscoDays, la fiera del disco e della musica di Napoli. Entrambi hanno firmato la sceneggiatura di Vinilici. Grazie ad una proficua operazione di crowdfunding abbiamo ottenuto le risorse per iniziare le riprese e realizzare un documentario che parla soprattutto di amore: amore per la musica, per il vinile, per il collezionismo.
Considerato il grande successo che sta riscuotendo, possiamo affermare che gli italiani non hanno dimenticato il vinile? 
In effetti sì, non l'hanno mai dimenticato. Inoltre oggi gli esperti parlano di rinascita perché le giovani generazioni hanno “scoperto” il vinile come se fosse una tecnologia nuova. 
Caffè sospeso è un’antica tradizione napoletana. Cosa l’ha spinta a trasformarla in un documentario?
Tutto è nato dalla curiosità del produttore del film, Alfredo Federico di 39Films. Mi chiese cosa fosse il caffè sospeso e gli risposi frettolosamente che era un'attività filantropica napoletana ormai in disuso o utilizzata a puro scopo pubblicitario. La sua insistenza, alla fine, ci indusse a cercare nel mondo riscontri sulla sua diffusione e così ci imbattemmo in tre storie che andavano assolutamente raccontate.
Il caffè sospeso può essere definito l’emblema della grande generosità del popolo napoletano? 
Da un punto di vista folkloristico potrebbe anche esserlo ma oggi, a Napoli, gli abitanti faticano ad essere sempre generosi ed altruisti perché troppo spesso concentrati sulla propria sopravvivenza e sui propri piccoli egoismi.
Il documentario ha ottenuto il riconoscimento culturale dalla Commissione per la Cinematografia del MIBACT – Direzione Generale Cinema, oltre che lo sbarco su Netflix. Quanto la rendono orgoglioso questi traguardi?
Moltissimo! D'altronde su Netflix sono pochi i documentari italiani. Inoltre la stampa tedesca ha inserito “Caffè sospeso” nei cinque film che raccontano l'Italia degli ultimi cent'anni (nell'elenco c'è anche Roberto Rossellini con “Paisà”, ndr) e un sito brasiliano consiglia diciassette film da vedere “assolutamente” su Netflix di cui due sono documentari, uno è su G. Garcia Marquez e l'altro è “Caffè sospeso”.
Napoli, Buenos Aires e New York le tre città scelte per il docu-film. Da cosa sono accomunate queste realtà così distanti da loro, almeno dal punto di vista geografico? Perché la scelta è caduta sulla Grande Mela e sulla capitale argentina?
Sono metropoli in perenne trasformazione in cui convivono etnie sempre più diverse e numerose, caratterizzate da una forte presenza di comunità italiane che hanno importato in quelle città molte delle nostre tradizioni. Con lo sceneggiatore Alessandro Di Nuzzo volevamo indagare il tipo di solidarietà presente lì. In realtà, come spesso accade, durante le riprese, il documentario ha preso una piega totalmente diversa. 
È stato il primo ad insegnare Tecniche della Comunicazione Pubblicitaria nel corso di laurea in Scienze della Comunicazione in Italia. Da dove deriva la sua capacità di guardare lungo?
Erano anni in cui vivevo tra Napoli e Milano ed ho ottenuto la cattedra perché avevo già esperienza nel campo pubblicitario e lavoravo da diversi anni in ambito televisivo. Era molto importante che gli studenti avessero un docente che potesse fornire loro reali esperienze pratiche e non solo nozioni accademiche. La pubblicità è meglio “farla” che “raccontarla”.
Ha firmato la regia di “Francesco da Buenos Aires”, il primo docufilm cinematografico sulla vita di Jorge Mario Bergoglio. Quanto è stato emozionante ripercorrere la vita del Santo Padre?
Molto! Soprattutto perché abbiamo avuto la possibilità di avvicinare persone che sono state a stretto contatto con Bergoglio a cominciare dalla sorella, a Buenos Aires, gli amici d'infanzia, i compagni di seminario e i suoi più stretti collaboratori in Vaticano. E’ stato molto interessante capire i motivi che hanno portato all’elezione di Papa Francesco, seguendolo nel suo primo anno di pontificato. Sono molto grato al co-regista argentino Miguel Arias e al produttore Alfredo Federico per avermi offerto questa opportunità.
Napoli sempre più al centro della cinematografia italiana e non. È un azzardo definire “Rinascimento napoletano” il periodo storico attuale?
In realtà questa definizione è abbastanza ciclica a Napoli. Ricordo un programma televisivo di Paolo Calcagno, a metà degli anni novanta, proprio dal titolo “Napoli, un rinascimento” dove fu inserito anche un mio videoritratto di Massimo Troisi. Sicuramente anche il periodo attuale è molto florido per il cinema napoletano anche perché la città è un set “a cielo aperto”. La speranza è che non si perda questa opportunità e si creino sempre più occasioni di lavoro stabile anche per i giovani esordienti e non solo per i “soliti noti”.
Il paesaggio ambientale è forse unico al mondo, senza voler usare campanilismi. Cosa manca alla città partenopea per sbocciare definitivamente?
Una capacità imprenditoriale che vada al di là degli interessi personali ed un maggiore controllo del territorio affinché anche le più semplici regole della convivenza quotidiana vengano rispettate. Assisto sempre più spesso a forme di prevaricazione e comportamenti arroganti che svalutano e snaturano la “bellezza” della nostra città.
Nella sua carriera ha anche realizzato la serie televisiva a cartoni animati “In search of Sara J.” e diretto con Riccardo Polizzy Carbonelli il doppiaggio de “La cantata dei pastori”, cartoon in 3D per Rai 1. Quanto è difficile industriarsi in questo campo?
Se si hanno delle idee valide si trova sempre la possibilità di realizzarle. Però, come in un documentario è fondamentale avere una troupe con la quale lavorare in armonia, così nei cartoon è molto importante interagire con una squadra di disegnatori, animatori e doppiatori che, sposando il progetto, lo migliorano con la propria professionalità. Così è stato per i progetti che Lei ha elencato ed anche per la serie web “Boys and Girls” che ho scritto con Roger Rueff, lo sceneggiatore di “The big Kahuna”.
Autore televisivo, copywriter, regista, ideatore del “Premio Troisi”. Di quale dei suoi lavori è più fiero?
Hanno tutti in comune il mio forte desiderio di raccontare storie e li ho amati tutti alla stessa maniera. Oggi, comunque, il lavoro di regista di documentari mi sta dando grandi soddisfazioni.
Quali sono i suoi impegni futuri?
Sto lavorando ad un documentario legato alla vita degli anziani e sono in cerca di produttori che possano finanziarlo.
Nel frattempo giro il mondo.

Giovanni Spinazzola 

19 Novembre 2018 10:31 - Ultimo aggiornamento: 19 Novembre 2018 10:31
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