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CULTURA&SPETTACOLO

Libri: Ritorna nelle librerie "Naso di cane" di Attilio Veraldi.

21 Novembre 2022 15:49 — Presentazione presso la sala “Silvia Ruotolo” della V Municipalità del Comune di Napoli il 30 novembre ore 18.

Sarà presentato mercoledì 30 novembre alle ore 18:00 Naso di cane di Attilio Veraldi, presso la sala “Silvia Ruotolo” della V Municipalità del Comune di Napoli al Vomero.

Intervengono: lo scrittore Francesco Pinto; il giornalista Pier Luigi Razzano; Ciro Sabatino, direttore del Festival del Giallo Mysstery. Modera l’editore Aldo Putigano. Saluto iniziale del consigliere comunale Margherita Siniscalchi. L’evento sarà realizzato in collaborazione con la libreria Iocisto.

Il libro

Homo Scrivens riporta in libreria Naso di cane, una delle opere più celebri di Attilio Veraldi, considerato il miglior giallista italiano. Un’edizione – inserita nella collana Gatti neri e vicoli bui – che si arricchisce della prefazione di Luca Crovi, del saggio breve “Riscoprire Velardi” realizzato da Ciro Sabatino, direttore del Festival del Giallo MYSSTERY, e della quarta di copertina a cura di Roberto Saviano.

A quarant’anni dalla prima edizione, ritorna in libreria Naso di cane, il romanzo di Attilio Veraldi che la casa editrice Homo Scrivens ha inserito nella collana Gatti neri e vicoli bui. Un intrigo nell’intrigo del quale è protagonista Ciro Mele, il killer soprannominato Naso di cane, assoldato per ammazzare un uomo legato al clan degli Ammirato.

Una serie di avvenimenti porteranno l’assassino prezzolato a dubitare dell’incarico ricevuto. Che si tratti di una trappola mortale? Per Mele comincia una corsa contro il tempo; una roulette russa che coinvolgerà Rosa, la malafemmena di cui è innamorato, e il commissario Corrado Apicella, sulle tracce di Naso di cane per metter fine a una sanguinosa faida di camorra.

Un romanzo ruvido, dal ritmo incessante, nel quale il confine tra la Napoli per bene e quella dei bassifondi è così sottile da permettere ai personaggi di muoversi ai limiti della legalità. L’obiettivo è uno solo: far fuori il nemico per salvarsi la vita.

«In un periodo in cui di camorra si parlava solo nelle cronache locali, attraverso la forma del romanzo, Veraldi è riuscito a raccontare Napoli e il potere criminale come nessuno prima. Per l’argomento e la qualità narrativa, Naso di cane è diventato negli anni, in maniera del tutto spontanea, un vero e proprio oggetto di culto. Colpevolmente trascurato dal mondo editoriale, finalmente questo libro torna a nascere e spero arrivi nelle mani di molti lettori». [Roberto Saviano]

La trama: Ciro Mele, detto Naso di Cane, è uno spietato killer a cui il boss della camorra Achille Ammirato ha affidato il compito di uccidere un suo uomo. Naso di Cane, tuttavia, per una serie di circostanze, intuisce che l’incarico potrebbe essere una trappola mortale. Chi lo vuole morto?

Sullo sfondo della faida tra gli Ammirato e i rivali fratelli Palestra, per il controllo della droga, del racket delle pompe funebri e dell’intera città di Napoli, Ciro sfugge a un agguato e aiutato da Rosa, la prostituta di cui si è innamorato, prova a fare luce su chi lo vuole fare fuori. Intanto, il commissario Corrado Apicella è sulle sue tracce perché vuole mettere fine alla sanguinosa guerra tra camorristi.

dall’introduzione di Luca Crovi

Tutti si dimenticano dei traduttori. Del loro coraggio, della loro tenacia, della loro capacità di dare voce agli autori. Spesso nessuno li cita né li ricorda. Eppure, se un poeta come Angelo Silvio Novaro non avesse avuto il coraggio di tradurre L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson forse quel capolavoro dell’avventura non sarebbe stato così letto in Italia. Se Charles Baudelaire non avesse dato voce a Edgar Allan Poe, la sua stella non avrebbe brillato subito in Francia. Se Tullio Dobner non si fosse immerso nei romanzi di Stephen King e Sergio Altieri non avesse illuminato quelli di George R.R. Martin e se Alfredo Colitto e Raoul Montanari non avessero dato voce a Don Winslow e Cormac MacCarthy forse questi

narratori americani non sarebbero arrivati nello stesso modo al nostro pubblico.

Ecco, immaginatevi che cosa sarebbe potuto succedere se Raymond Chandler, Dashiell Hammett, Kurt Vonnegut e Hubert Selby JR. non fossero stati tradotti da Attilio Veraldi. Probabilmente avremmo letto con altri occhi e percepito con altro cuore Il grande sonno, Piombo e sangue, L’istinto della caccia, La colazione dei campioni e Ultima fermata Brooklyn. D’altra parte se quei narratori non fossero passati per le sue mani forse Veraldi non ne avrebbe proseguito la tradizione siglando romanzi come La mazzetta, Uomo di conseguenza, Il Vomerese, L’amica degli amici e Naso di cane.

L’incipit

Si chiamava Wienerwald addirittura. Sghemba e verde contornata di rosso, la scritta era imponente; illuminava da sola tutto lo slargo. Dentro il posto era invece uno schifo.

Ciro entrò. Non era il tipo di locale che avrebbe scelto lui. Frequentava di meglio, su questo nessun dubbio. Sulla soglia, sull’alto gradino di marmo bianco, consumato e spaccato al centro, si fermò a lanciare un’ultima occhiata alla Guzzi California: un astro di cromo abbagliante sotto la grande scritta luminosa. Altri due fari antinebbia, magari più grandi ancora, avrebbero completato la sciccheria. Doveva decidersi a trovare il tempo.

Dentro c’erano fumo e puzzo di piastra unta. Oltre che uno schifo, poi, il locale era anche angusto, eppure avevano avuto la fantasia di ingombrarlo con pesanti scomparti di legno rossiccio e intagliato. Dov’è Vienna? In montagna? Andò a sedere all’estremità della panca del primo scomparto.

Da lì dominava l’ingresso e non perdeva di vista la moto. Ma chi l’avrebbe toccata con un dito? In tutto il quartiere di Chiaia la conoscevano a memoria e sapevano a chi apparteneva. Chi avrebbe osato? Da lì, ancora, lo sguardo arrivava fino al giardinetto che avevano sistemato al posto del vecchio e utile parcheggio, assediato d’ogni lato da macchine, sopra e giù dal marciapiede. Aiuolette e alberelli nani appena usciti di vivaio. Quanto avrebbero resistito?

Dal saggio di Ciro Sabatino

Un soffio. Parlava così, piano. Dentro c’erano novecento chilometri di scelte, di abbandoni. Le manca Napoli. Mi manca il tempo. Bambagia. Ovatta. Su silenzi e lontananze. Su quell’inverno strano del 1998. A parlare di libri e delitti. Io all’ombra di Partenope, lui nella magione delle famiglie reali. Nel Principato di Monaco. A Montecarlo.

Gli ultimi giorni di Attilio Veraldi. Consumati lungo il filo d’un pugno di telefonate, con uno sconosciuto. Le va di essere il Presidente del Premio Napoli in Giallo? Rise. Attilio Veraldi. Il padre dei delitti di carta all’italiana. Il giallo a Napoli? Ma c’è? Sul serio? C’è chi scrive romanzi polizieschi a Napoli? E diventammo un po’ amici.

Lo chiamai per la prima volta in autunno. Sempre 1998. Sempre Napoli, e dall’altra parte, a novecento chilometri, Montecarlo. Non ricordo nemmeno chi mi diede il suo numero. Attilio Veraldi? Non vive più qui. È in Costa Azzurra. Da solo, forse. Perché questa città i grandi li dimentica veloce. Li cancella con una determinazione granitica, ferma, inderogabile. Quasi fosse una missione. Appiattire. Tenere tutto a livello del mare, quando diventa una bugia.

Lui lo sapeva. Lo aveva sempre saputo. Forse per questo anche la Napoli raccontata nella Mazzetta sembra più la Los Angeles di Chandler. Dice? E ancora una volta lo sentii ridere piano.

21 Novembre 2022 15:49 - Ultimo aggiornamento: 21 Novembre 2022 15:49
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